Il mito della specializzazione

Tra le stranezze della filatelia ve n’è una particolarmente incongrua: il mito della specializzazione. Se dici che collezioni l’Italia ti chiedono subito: che periodo? Se parli di un collezionista di posta militare, immediatamente vogliono sapere se prima o seconda guerra mondiale, Libia, AOI, o quant’altro. Se ti dici appassionato di storia postale, ti si chiede anche di specificare bolli, tariffe, servizio, Paese e periodo di interesse. L’idea che uno possa spaziare su un campo leggermente più ampio di una trentina di pagine di catalogo pare siadel tutto inimmaginabile, almeno se si vuole rientrare nei canoni del cosiddetto serio collezionismo. A meno che uno non sia un perito filatelico, o ambisca a diventarlo. Ma anche in questo caso di recente pare prevalere l’idea della specializzazione.

Sapere tutto su uno specifico settore, tema, periodo: pare proprio che debba essere questa la chiave per definirsi un vero collezionista, un vero studioso, un vero esperto. E conoscere fino alla paranoia anche il minimo e più accessorio risvolto di un certo specifico e limitato tema è quanto occorre dimostrare. Citando a memoria le tariffe meno frequentate, le combinazioni più improbabili, il quantitativo di pezzi noti esistenti (al momento), la valutazione di mercato, il numero di catalogo. Raccontando aneddoti (possibilmente maligni) sugli esperti del settore e sulle proprie, immancabili e favolose trouvaille. Elencando i commercianti, le aste, i siti internet e i mercatini migliori per acquistare quel certo materiale a prezzi ovviamente da sballo.

Naturalmente bisogna avere anche una collezione altrettanto specializzata, dove di quei determinati francobolli ci sia un elevatissimo numero di esemplari nuovi e usati, in tutte le posizioni, combinazioni, varietà e salse possibili. Di quella certa tariffa tutte le possibili affrancature, bollature e varianti. Di quel certo bollo tutte i possibili usi, errori e colori. E dev’essere una collezione possibilmente montata su fogli da esposizione e corredata di premi, meglio se internazionali, e dai relativi commenti sull’incapacità e la partigianeria dei giudici. Una collezione ovviamente di una noia mortale, visto che su dieci pezzi nove si assomigliano e undici sono rarità assolute, per motivi che non interessanno nessuno, e dopo dieci fogli ti vengono spontanee alcune domande sull’inconscio di chi l’ha messa insieme.

Certo, questo modo di praticare il collezionismo è l’ideale per i commercianti, perché assicura loro una clientela trasparente e dipendente, a cui è possibile proporre proprio il pezzo desiderato, o almeno desiderabile, senz’altro problema che azzeccarne il prezzo, decisamente alto ma non oltre le sue possibilità.

Ed è anche l’ideale per molti collezionisti, che amano impegnarsi ma non più di tanto, e così con la lettura di un centinaio di pagine sanno già tutto quel che gli basta per affrontare quel limitato settore. E che gli basta anche per emergere nel loro ambiente come esperti.

Mi chiedo però se questo modo di essere collezionista — che poi è quello più o meno direttamente promosso dalla filatelia ufficiale attraverso le gare espositive — sia anche quello più positivo, sia per chi lo pratica, sia in funzione di chi potrebb’essere portato a dedicarsi al collezionismo filatelico. Perché così si finisce — stanti i milioni di comparti e di possibilità che filatelia e storia postale offrono dopo secoli di servizio — per creare tanti collezionisti che non possono praticamente più comunicare tra loro, dato che ciascuno conosce solo la sua specializzazione, anzi un comparto di una certa specializzazione, di cui gli altri sanno poco o nulla. Invece di un dialogo, al massimo è possibile un duologo: ognuno parla per sé mentre gli altri fingono di ascoltare in attesa del loro turno.

Ed è proprio questa la stranezza: perché volersi fossilizzare su un argomento soltanto, e su un certo modo di pensare, collezionare, essere collezionisti? È così bello spaziare, acquisire sempre nuovi dati, fare confronti, mettersi ogni volta alla prova. Già la vita è sovente semplice routine, e ogni giorno identico al precedente; perché trasformare in routine anche i momenti di relax?

L’ho detto prima, dopo secoli di attività la posta ci offre una marea di spunti. Non approfittarne è da sciocchi. E per approfittarne basta avere una chiara visione generale, che ci consenta di poter capire e apprezzare ciascuna delle migliaia di vedute particolari rappresentate da francobolli e bolli, interi postali e tariffe, lettere e moduli, ma anche indirizzi e testi delle corrispondenze, telegrammi e immagini, abitudini e oggetti in qualche modo legati alla posta e alla comunicazione umana. E per ottenere questa visione generale basta metterci un po’ d’impegno, di passione, di personalità. Così come per trarne il massimo profitto basterà metterci il proprio cervello e la propria intelligenza, uscendo anche in questo caso dalla routine del già visto e del già fatto. Senza paura di sbagliare: anche perché, in fin dei conti, c’è più soddisfazione a fare qualche errore tentando qualcosa di nuovo che non a essere primi ex aequo con altri 90 concorrenti su 100.

Ovviamente non sto dicendo che specializzarsi sia un errore. Dico semplicemente che prima bisogna conoscere l’intero campo in cui si agisce, a partire dalle nozioni più semplici e apparentemente banali, e possibilmente saper guardare anche più in là. Della serie “non si sa mai”.

È possibile, ad esempio, che la maggior parte di coloro che collezionano, e magari specializzano, un particolare settore o periodo della storia filatelica o postale d’Italia, non possiedano anche una collezione completa dei francobolli e degli interi postali italiani? Non importa se nuovi o usati, oppure un po’ nuovi e un po’ usati: basta averli tutti, da vedere e capire e appassionarcisi. Non importa se linguellati o persino difettosi e con annulli illeggibili o non garantiti: basta che ci siano, per poter avere una visione d’insieme delle carte valori postali italiane, e capirne l’evoluzione grafica, tecnica, artistica e comunicativa.

La qualità si può sempre migliorare, col tempo. Anche senza arrivare agli estremi e fare soltanto il gioco di chi, con il mito dell’illinguellato e della perfezione, ha semplicemente rarefatto il materiale vendibile per aumentarne il prezzo, o per mantenere quotazioni altrimenti indifendibili.

Ma l’esperienza non si può certo fare senza una base — e senza gli errori personali, come rilevava argutamente Oscar Wilde — che solo il mettere insieme una collezione completa (o quasi) può consentire.

Poi si può anche usare quest’esperienza per approfondire un settore, specializzarlo, sviscerarlo fin nei minimi dettagli. O magari per dedicarsi a più d’una specializzazione, in varie direzioni, se uno ha più tempo, più interessi, e anche più soldi a disposizione.

Così avrà fatto non solo i suoi interessi sul piano collezionistico, conoscitivo e del divertimento, ma persino da un punto di vista economico. Perché con la sua richiesta di materiale proveniente da vecchie collezioni avrà aiutato a mantenere attivo un mercato che altrimenti — se tutti specializzano soltanto o si dedicano solamente alle ultime emissioni — rischia di restare al palo, con quotazioni sempre più artefatte e anche per questo senza il minimo appeal per i possibili nuovi arrivati.

Come per la qualità, anche per la specializzazione c’è sempre tempo. E la si può apprezzare anche di più se prima, oltre all’esperienza collezionistica, si è anche capito che spesso — se ci si vuole davvero divertire e magari fare anche qualche buon affare — conviene tentare strade nuove e non fermarsi a convinzioni che, per quanto diffuse, spesso sono semplici pregiudizi. Gli articoli di questo numero ne sono la miglior prova, e i loro autori i migliori testimoni di un modo di collezionare e approfondire nelle più diverse direzioni, facendo della scoperta il più fruttuoso e appassionante degli investimenti.

Franco Filanci