Gli zombi filatelici

In filatelia ci sono cose che proprio non si riesce a far sparire. Le si chiarisce, si trova la risposta definitiva che viene pubblicata, tutto sembra chiarito, concluso, a posto. E invece passano gli anni, la gente dimentica, e ci si ritrova tra i piedi la “cosa”, fresca e pimpante come se nulla fosse mai successo. Che cosa meglio del web per mantenere viva la memoria, anche ad uso dei nuovi arrivati?

Le etichette di franchigia delle Cicladi

In questo arcipelago dell’Egeo composto dalle isole di Andros, Tinos, Mikonos, Siros, Paros, Antìparos, Naxos, Amorgos, Ios e Santorini, occupato dalle truppe italiane nella primavera del 1941, funzionò una sezione distaccata dell’ufficio di posta militare 550.

Questa sezione, stabilita a Ermùpolis, capoluogo di Siros, fece uso dal 14 maggio ai primi di agosto del 1941 di un insolito bollo con dicitura CICLADI. E fu l’unica stranezza: le etichette di franchigia su carta di vari colori apparse sul mercato filatelico negli anni ‘60 non hanno infatti nulla a che vedere con le Cicladi.
Come ampiamente dimostrato da Cadioli e Cecchi, anche attraverso un intervista all’unico addetto alla sezione staccata in quel periodo, si tratta di invenzioni postume, servite anche su busta con annulli altrettanto falsi. E la circolare Postgen spesso citata a supporto non parla di etichette ma di un bollo in cartella creato per concedere la franchigia alle lettere dei militari di stanza nell’Egeo.

Per maggiori dettagli: Beniamino Cadioli e Aldo Cecchi, Le etichette di franchigia “Cicladi” su Filatelia n. 116, aprile 1974 e n. 120, dicembre 1974

Esperimenti molto tardivi, ad uso dei collezionisti

Circolano da oltre un secolo degli esemplari dei piccoli valori per le stampe apparsi nel 1861 che recano in rilievo al centro, invece della cifra, l’effigie di Vittorio Emanuele II, e che da qualche anno vengono presentati come “sperimentali”, ovviamente a cifre elevatissime. In realtà, se il buon Matraire avesse mai pensato a inserirvi la reale testina, avrebbe disegnato un ovale più grande, in modo che ci stesse comodamente. E se anche, per assurdo, avesse fatto un simile esperimento, non l’avrebbe certo ripetuto un anno dopo, quando cambiò il colore del francobollo da 2 cent. In realtà si tratta di uno dei tanti trucchi creati qualche decina di anni dopo, quando i resti della tipografia Matraire, con fogli interi non finiti e materiali da stampa, finirono sul mercato: per far felici i collezionisti furono create effigi capovolte, scambi di cifra, la dentellatura anche per i francobolli da 5 cent. e 3 lire. A provare che si tratta di effigi postume è la scarsa nitidezza dell’effigie, dovuta al molto tempo ormai trascorso.
Per maggiori dettagli: A.E.Fiecchi, Per il Catalogo Italiano, su Gazzetta dei Filatelisti n. 46/47, dicembre 1912; Paolo Vaccari, Le effigi e le cifre a rilievo impresse in epoca postuma, su Vaccari Magazine n. 20 pag. 108

Il semaforo non era sbagliato

Di francobolli con errori nella vignetta o nelle diciture ne esistono molti, alcuni anche in Italia. Ma prima di parlare di errori bisogna informarsi. Cosa che non fanno quanti asseriscono che il francobollo “Prudenza sulla strada” del 1957 è sbagliato perché i semafori hanno il rosso in alto e non in basso. In Italia infatti i semafori un tempo avevano il verde in alto; la norma internazionale di mettere al primo posto il rosso fu recepita solo con il Codice della strada in vigore dal 1º luglio 1960, ovvero tre anni dopo la comparsa del nostro francobollo, anche se già da diversi anni venivano installati semafori di questo tipo.
Per maggiori dettagli: Cronaca filatelica n. 272 pag. 15








La legittimità dei francobolli CLN

C’è chi ancora asserisce che i CLN – ovvero i Comitati di Liberazione Nazionale, l’organizzazione politica delle forze antifasciste sorta per coordinare la lotta partigiana nei territori occupati dai tedeschi, e come tale riconosciuta sia dal Governo italiano che dagli Alleati – non aveva titolo per emettere francobolli. E Garibaldi era forse legittimato a sbarcare a Marsala, occupare la Sicilia e dichiararsi Dittatore del Regno di Napoli? La storia studia i fatti, non le eventualità.
Ed è un fatto che a fine aprile 1945, al momento della Liberazione, proprio per gli accordi presi con i CLN gli Alleati non si preoccuparono di insediare subito il loro governo in Alta Italia ma inseguirono le forze germaniche in ritirata nel timore che si formasse un nuovo fronte. Fu così che sino a metà maggio i poteri restarono affidati alle autorità locali non compromesse col cessato regime e soprattutto ai CLN che avevano operato in molte parti del territorio.
Un altro fatto è che alcuni di questi CLN si occuparono anche di francobolli, con intenti politici (cancellare diciture ed emblemi del passato regime) o semplicemente celebrativi, e poco importa che vi sia stato quasi sempre l’intervento più o meno interessato di filatelisti: da quarant’anni e più era un fatto normale anche per le emissioni governative, alcune delle quali ebbero corso per pochi giorni in pochi uffici o furono create solo per favorire qualcuno.
L’importante dal punto di vista storico, postale e filatelico non è valutare la legittimità di un’emissione ma se l’emissione è avvenuta realmente e in modo regolare, cioè attraverso la vendita e l’uso negli uffici postali. E questo si può dire solo di sette casi: Ariano Polesine, Arona, Barge, Maccagno, Parma, Savona e Valle Bormida.
Negli altri casi, anche se corredati da decreti (alcuni persino prefettizi) e con qualche esemplare presente su corrispondenze passate per posta (cosa non difficile in frangenti come quelli, in cui mancava tutto e molte persone erano ricattabili), ci troviamo di fronte a pure e semplici creazioni private, spesso dei souvenir venduti in cartoleria o a qualche commerciante filatelico, per raggranellare qualche soldo. Quando non addirittura posteriori al periodo in cui i CLN ebbero di fatto i pieni poteri, tra cui quello di abbattere le insegne del nemico sconfitto (come d’uso da sempre) anche sui francobolli.
Per maggiori dettagli: Franco Filanci, L’Italia filatelica e i Francobolli dei CLN, su Storie di Posta vol. undici (Speciale cf n. 15).

Le cartoline postali militari in franchigia

 

Qualcuno dice che non sono vere cartoline postali perché non hanno un proprio valore, non hanno un francobollo e inoltre, nel caso della prima Guerra mondiale, erano stampate da privati: e che la franchigia era data dal bollo dell’ufficio di posta militare o assimilato. Ma allora, se erano semplici moduli, perché mai hanno tutte un regolare decreto d’emissione, come ogni carta-valore? E addirittura, per le prime della Grande Guerra, perché mai si è corretto il Testo unico delle leggi postali – che non le prevedeva – prima di autorizzarne l’emissione e descriverle in dettaglio? E non è vero che manchi il francobol lo, solo che è un po’ diverso dal solito; anzi persino gigantesco nel caso della Vittoria alata sul gran pavese! E alcune di queste cartoline non sono l’unico caso di carte-valori italiane stampate da privati: oltre alla De La Rue. all’Officina Calcografica Italiana (cui si deve il primo 15 cent. Michetti) e alla Richter di Napoli (che sfornò il 50 cent. Lupa), c’è la tipografia romana di Enrico Petiti che fra il 1919 e il 1923 non stampò solo varie serie commemorative ma anche diverse provviste di francobolli ordinari, per sopperire alle difficoltà produttive dell’Officina Carte Valori di Torino. Senza contare che un valore queste cartoline ce l’avevano eccome – 10, 15, 25 o 30 cent., a seconda del conflitto – come ebbe a specificare una circolare dell’Intendenza generale in data 31 luglio 1916. E come mostra il fatto che venivano distribuite in numero limitato, fissato anch’esso con tanto di decreto.
Quanto al bollo di posta militare, o assimilato, era semplicemente una forma di controllo, come il dover consegnare direttamente a un ufficio postale le corrispondenze ufficiali in franchigia, comprese quelle che nel 1875-76 erano affrancate con gli appositi francobolli di Stato: e nessuno ha mai neppure insinuato che quelli non fossero francobolli!
Naturalmente sono vere carte-valori solo quelle emesse in base a decreti, e non quelle prodotte nei periodi in cui, per problemi di produzione, furono ammessi alla franchigia tutti i tipi di cartolina, comprese le illustrate e i cartoncini in bianco (dal 20 giugno 1915 al 19 agosto 1916), o quando si stabilì di ammettere in franchigia ogni tipo di corrispondenza impostata in un ufficio di posta militare (nella Repubblica Sociale Italiana con la riorganizzazione della posta da campo dal 19 marzo 1944, sul sistema tedesco, e per qualche tempo dopo il 1º luglio 1944 anche nel Regno del Sud, sul modello alleato).
Per maggiori dettagli vedi Franco Filanci, Degli interi postali militari in franchigia, su Il nuovo Corriere filatelico n. 51, febbraio 1984, e Fantasmi di guerra, su Storie di Posta vol. ventuno (Speciale cf n. 24), e il catalogo InterItalia, ed. Laser Invest,

Altro che non emessi del Veneto!

Sono diversi anni che circolano, soprattutto nelle aste e a cifre sempre più contenute (ma sempre troppo alte), degli esemplari recanti una testina dell’Italia detta “Sterlina”, un tempo usata come contrassegno di Stato sulle banconote, e cifre varie in corone, o anche nessun valore. Questi esemplari vengono descritti come saggi o non emessi, ovviamente rari, di una serie che sarebbe stata predisposta dall’Italia subito dopo la fine della prima guerra mondiale per i territori veneti conquistati, sulla base di un certificato peritale che sa molto di scherzo visto che, malgrado il testo lunghissimo, non si usano mai i termini “francobollo” o “marca”. E più di recente, con ancora maggior fantasia, qualcuno li ha definiti "saggi Croce Rossa", chissà poi perchè.
In realtà non sono né saggi né tantomeno non emessi, come ben sanno i fiscalisti. Si tratta di marche per la vidimazione dei titoli esteri, di cui una gratuita, regolarmente poste in uso in quelle nuove provincie che allora si definivano “Terre Redente”, come indicato anche da alcuni cataloghi di marche fiscali. E infatti capita di trovarle applicate su titoli austriaci dei primi decenni del Novecento.
Per maggiori dettagli vedi Cronaca filatelica n. 176 pag. 4 e n. 179 pag. 2

Gli pseudo-saggi del Poligrafico

Capita di vedere sempre più spesso nelle aste dei “saggi calcografici” degli anni ‘20-30 delle serie San Francesco e Sant’Antonio da Padova o di un espresso della serie Artistica del 1925 con la statua del Gattamelata, i quali mancano di un angolo o dell’indicazione del valore oppure hanno una parte del disegno in bianco.
In realtà non sono dei saggi, ma ritagli della carta intestata “di rappresentanza” dell’Istituto Poligrafico dello Stato in uso nei primi anni Trenta, che presentava un ricco en-tête in calcografia a un solo colore (indaco, viola cupo e forse altri), una sorta di panoplia di carte-valori, quasi sempre un po’ sovrapposte l’una all’altra per impedirne un impiego abusivo, e proprio per questo scelte soprattutto fra i valori mai apparsi.
Che alcuni di questi pezzi siano indubbiamente interessanti, come l’espresso mai giunto neppure alla stadio di saggio, è fuori discussione. Ma ìrrita che si voglia far pagare prezzi consistenti per dei semplici ritagli di una carta da lettera.
Per maggiori dettagli vedi Storie di Posta n. ventuno pag. 75.

Attenti ai bolli del 1945!

Le cartoline postali “Italia turrita” senza stemma sabaudo da 60 c. arancio e da L. 1,20 bruno, stampate dalla Sezione distaccata del Poligrafico a Novara nell’estate 1945, non furono poste subito in distribuzione ma finirono a Roma con il ritorno dei macchinari alla sede originaria. Solo nella tarda primavera del 1946, un po’ per svuotare i magazzini un po’ per ragioni politiche (evitare le carte-valori con lo stemma sabaudo per non influenzare il referendum istituzionale), vennero poste in corso. Tutti gli esemplari recanti annulli con date del 1945 sono risultati finora dei trucchi, con bollature false o di favore.
Per maggiori dettagli si veda 1944-1950: Parliamo di prime date d’uso, di Franco Giannini e Carlo Sopracordevole, su L’intero postale n. 82, inverno 2003

La marca di licenza Regio Esercito

Continua ad apparire, anche in aste importanti, questo cosiddetto “francobollo di franchigia” con effigie del Re imperatore che in realtà non ha assolutamente nulla di postale, neppure alla lontana. Si tratta infatti di un “contrassegno” introdotto il 20 luglio 1943 allo scopo di limitare le licenze militari ottenute in modo irregolare: doveva essere utilizzato per convalidare i fogli di congedo illimitato e illimitato provvisorio mod. 4, 5 e 32, lettere e biglietti di licenza mod. 298 e 299, certificati per viaggi mod. 688, quaderni dei biglietti di entrata e di uscita dagli ospedali mod. 2089 e 2091 e quaderni per fogli di viaggio mod. 2234. E visto che qualcuno aveva subito trovato il modo di riusarlo in frode, si stabilì che dal 1º settembre 1943 doveva essere obliterato con il bollo lineare ANNULLATO apposto sulla dicitura 1943 XXI-XXII E.F. Oltre al tentativo di spacciarlo come “francobollo di franchigia” o “marca di franchigia postale”, di recente è stato anche soprastampato con la dicitura FRANCHIGIA POSTALE POSTA AEREA, e ne è stata realizzata persino qualche falso impiego su busta. (vedi Il contrassegno Regio Esercito 1943, di Aldo Cecchi, Roberto Gallo e Claudio Dutto, su Posta Militare n. 79)