C'ERA UNA VOLTA di Franco Filanci e Thomas Mathà (SdP 30 ns)

La filatelia sta cambiando, lo dicono in molti. Anche se sono in pochi a fornire delle serie analisi e precise documentazioni in merito.

La filatelia cambia, come d’altronde fa da sempre, fin da metà Ottocento quando vide la luce. Agli inizi era una semplice raccolta di inedite labels – figurine – staccate delle lettere, e piaceva averne tante, possibilmente diverse. Poi comparvero i primi commercianti di francobolli, e con loro i primi listini-cataloghi e le prime riviste sull’argomento, e l’interesse dei nuovi appassionati era per tutte le carte-valori postali, e anche per altre cose che sembravano esserlo, dalle marche fiscali a quelle municipali fino alle croci di Sant’Andrea austriache. L’unica discriminante pareva essere l’uso postale: se non erano obliterate, doveva essere certo che ne esistessero di regolarmente annullate.

È in questo quadro che sul finire dell’Ottocento, insieme al termine filatelia di classica matrice greca (anche se non proprio calzante), iniziano a pubblicarsi articoli e soprattutto volumi – Moens, Maury, Diena, Cresto, Evans, Sella…– intesi a dare a questo nuovo collezionismo una base scientifica e culturalmente valida.

Col nuovo secolo però il crescente numero di emissioni – complici anche una guerra mondiale e proprio l’interesse collezionistico – costringono ad abbandonare le raccolte generali per concentrarsi su quelle di singoli paesi o periodi, e soprattutto a limitare l’interesse all’oggetto più diffuso e facilmente “manovrabile”: il francobollo. Fra l’altro senza più preferire l’esemplare usato: un po’ per ragioni di praticità, un po’ perché l’annullo spesso finisce per rendere poco godibile la visione delle vignette, sempre più elaborate e suggestive; soprattutto quando i regimi totalitari (e non solo loro) scoprono le potenzialità comunicative del francobollo, e lo sfruttano in funzione di propaganda diretta, indiretta, e persino subliminale.

Così quando anche la seconda guerra mondiale si conclude, il francobollo è ormai protagonista assoluto del mondo filatelico: di interi postali, affrancature meccaniche, servizi e tanto altro del mondo della posta non si occupa più nessuno, o quasi nessuno. Persino il sempre crescente interesse per le collezioni “a soggetto” – poi affermatesi come tematiche – e poi per quelle di cosiddetta storia postale non cambia di molto la situazione, malgrado le traversie in cui viene coinvolto in quegli anni il francobollo, spacciato da molti come investimento. Con una sorta di crisi, almeno dei settori collezionistici più popolari, che viene contrastata essenzialmente con il ricorso alla qualità (a partire dal senza traccia di linguella) teso unicamente a ridurre i quantitativi “validi” di esemplari disponibili sul mercato e quindi ad aumentarne i prezzi di vendita.

E l’arrivo del nuovo millennio non fa che fossilizzare la situazione: a cominciare dalla filatelia cosiddetta tradizionale, che si concentra totalmente ed esclusivamente sul francobollo, s’intende il più fiordistampa possibile, escludendo non solo ogni altra carta-valore postale (persino le amministrazioni postali non supportano né difendono gli interi postali che pure emettono!) ma favorendo le specializzazioni dei soli aspetti tecnici (stampa, filigrana, dentellatura…) anziché di quelli storici, politici e artistici, ben più interessanti e qualificanti. E questo su tutta la gamma di possibili collezioni, dagli Stati preunitari alle ultime novità.

Persino la cosiddetta storia postale in realtà risulta la semplice versione su busta del francobollo protagonista unico e prioritario. Basta leggere le didascalie che corredano molti articoli, collezioni, volumi di storia postale e listini di vendita per accorgersi che il primo se non l’unico elemento che viene preso in considerazione è anche in tal caso il francobollo, o un francobollo che ne compone l’affrancatura, oppure il modo in cui i vari francobolli si combinano nell’affrancatura stessa (spesso di nessuna rilevanza storica o postale, a ben guardare). A trarne vantaggio. per assurdo, è solo il vero appassionato di storia postale, che ad esempio può imbattersi in un raro Espresso Urgente e pagarlo poco o niente dato che i francobolli usati per affrancarlo sono sempre dei comuni valori ordinari.

A fare eccezione è solo il collezionismo tematico, accettando ogni genere di carta-valore postale, inclusi gli interi e le rosse; anche se lo fa in modo piuttosto riduttivo visto che l’interesse si concentra essenzialmente su vignetta e diciture.

Nel frattempo però le cose sono cambiate ancor più radicalmente nel mondo della comunicazione: il diffondersi della telefonia a livello popolare e le conquiste dell’elettronica in fatto di cellulari, personal computer e web hanno reso la comunicazione a distanza un fatto immediato, anzi persino in videopersona. E la lettera ha perso gran parte della sua ragion d’essere, così come il francobollo utilizzato per spedirla franca di porto. In pratica sono entrambi rimasti retaggio di una minoranza che si ostina a scrivere, e magari non accetta neppure di fare la coda all’ufficio postale per impostare le sue corrispondenze.

Senza contare che nel frattempo anche le poste hanno subito trasformazioni radicali, nelle strategie come nell’operatività: fondamentalmente hanno dovuto sottostare a una privatizzazione che le ha costrette ad assumere una mentalità industriale. La quale ha indotto a semplificare i servizi e ad ottimizzare i modi e i tempi di lavorazione. E ha portato la nuova Società per Azioni italiana ad inaugurare il nuovo millennio adottando giusto nell’ottobre 2001 quelle tp-label, impresse dall’ufficio postale al momento della spedizione, recanti tutti i dati relativi a gestore (POSTE ITALIANE), ufficio postale e data, eventuali servizi accessori, affrancatura e pure un codice datamatrix. In pratica concentrando in un’unica etichetta autoadesiva pronta in un attimo anche più del corrispettivo del francobollo e dell’annullo usati sino a quel momento.

Naturale che il successo sia stato immediato presso gli operatori postali, visto che fra l’altro riduceva al minimo il lavoro, i controlli e l’impegno contabile di fine mese. Non altrettanto l’apprezzamento dei collezionisti, che vedevano diminuire sempre più la circolazione dei loro amati francobolli. E anche il loro intrinseco interesse. Non solo a causa della programmazione filatelica del ministero competente, ogni giorno più largheggiante, politica, burocratica e banale, ma anche per le sempre più precise e controllate tecniche di stampa e di confezionamento, che rendono ormai improbabile la possibilità di variazioni e di errori, da sempre speme e delizia del collezionismo filatelico. Senza contare il colpo di grazia relativo agli stampati, la fetta più consistente e irriducibile di traffico postale, rappresentato dalle stampiglie Postatarget, Postapremium, Postamassiva, Promoposta e via inventando, che cancellano non solo il francobollo ma anche le tariffe postali uguali per quasi tutti.

Il risultato è che oggi la filatelia si concentra essenzialmente su un francobollo che sta scomparendo dalla quotidianità. Solo chi ha superato la quarantina se ne ricorda. Forse! La maggior parte degli altri, in particolare i giovani, non ne ha mai sentito nemmeno parlare. Magari considera persino la lettera una stranezza, una e-mail di carta, come asseriva già vari anni fa un ragazzino capitato per caso in una mostra filatelica.

La posizione essenzialmente francobollocentrica dell’attuale filatelia risulta quindi non soltanto controproducente ma anche incongrua: come se uno consigliasse di trascorrere le vacanze natalizie a Barentsburg. Perché mai una persona, specie se giovane e con moderate disponibilità finanziarie, dovrebbe interessarsi a un oggetto che non conosce, o comunque estraneo alla sua vita e alle sue abitudini? Forse perché ogni tanto si celebra una mostra-convegno (più convegno commerciale che mostra) o si ha un’emissione che vorrebbe coinvolgere anche il pubblico giovanile esibendo personaggi dei fumetti o telefilm di successo? O forse perché il Nostro ha ancora la collezione del padre o del nonno, posto che fossero filatelisti? In tal caso c’è da scommettere che qualche “esperto” sarà pronto a dirgli che non vale niente, è roba che non vuole più nessuno. D’altra parte, se proprio uno possiede lo spirito del collezionista, l’attuale range di prospettive è infinito, e persino più attuale e molto meno dispendioso della filatelia: a cominciare dagli spiccioli di euro che ciascuno si ritrova in tasca, e chi se ne frega se non sono fior di conio. 

E dire che in realtà la filatelia ha in sé tutto l’occorrente per uscire da una simile situazione di stallo. Occorrente che fra l’altro è riassumibile in due termini oggi molto trendy: globalizzazione e deregulation.

In fondo, perché mai dobbiamo limitarci al francobollo quando il mondo postale verso cui si orienta la filatelia è decisamente molto più vasto, intrigante e d’attualità? Il riferimento non è solo agli interi postali, alle affrancature rosse, alle corrispondenze prefilateliche, ma anche ai servizi telegrafici (dopotutto ancor oggi si parla di postelegrafonici) e soprattutto agli oggetti e ai servizi postali, materiale da collezionare e studiare finalmente di per sé, non come spiegazione di un’affrancatura più o meno pregiata, filatelica o “in perfetta tariffa”. Comprese tp-label, postatarget e altre forme di comunicazione parapostale che stanno cambiando le nostre abitudini e che è sciocco non studiare e documentare come realtà postale del momento.

In pratica pensiamo a una filatelia (chiamiamola ancora così) il cui primario interesse è incentrato sulla posta invece che sul francobollo; anche se il francobollo mantiene un ruolo indiscusso da protagonista. Una filatelia che così rimane non soltanto ancorata all’attualità di una comunicazione che sta semplicemente cambiando i suoi mezzi di trasmissione ma resta soprattutto  aperta a inimmaginabili sviluppi e prospettive sul futuro. E persino a incuriosire il pubblico a saperne di più, e magari a farne collezione.

La stessa testata di Storie di Posta parla da oltre un decennio di comunicazioni, come definizione onnicomprensiva dell’istinto e della necessità umana di rapportarsi con gli altri: e in tale ambito è compresa tutta la posta, dai suoi primordi più o meno antichi fino alle odierne e-mail e videochiamate, e in tutti i suoi aspetti, da oggetti, agevolazioni e servizi accessori o speciali a metodi di affrancatura e tariffe fino agli artistamp. Come dimostra anche in questo 56º numero.

E se in alcuni settori – specie fra i più antichi e i più recenti – è praticamente impossibile avere reperti collezionabili, ciò non ne impedisce lo studio e l’approfondimento: non è il possesso o l’aver maneggiato molto materiale a fare l’esperto e la conoscenza, come vorrebbe certa filatelia. Si può essere un profondo conoscitore dell’arte di Michelangelo senza dover possedere il Tondo Doni o una Pietà.

Certo, conoscere e approfondire il mondo della posta anche solo lo stretto necessario è molto più impegnativo del tradizionale mettere in fila francobolli magari ancora su “buste” possibilmente altrettanto pregiate. Ma vuoi mettere la soddisfazione e l’autogratificazione? Decisamente impagabili, oltre che più adulte ed esclusive.

Ma non è solo questione di ampliare il campo d’azione della filatelia, per renderla più attuale e lontana dalla tradizionale raccolta di figurine dentellate. Soprattutto è ora di smetterla con i vincoli che la bloccano, la complicano e la standardizzano. A cominciare dai regolamenti internazionali della FIP che riducono il piacere del collezionismo filatelico e della competizione a somme di vaghi numeretti per pochi intimi, improponibili in qualunque altro premio degno di questo nome, dal meno noto fino agli Oscar e ai Nobel. Vincoli che finiscono per ridurre la filatelia a regolette standard di vario genere, in larga parte di antico stampo e sovente criticabili, utili al massimo al commercio filatelico. Lacci e lacciuoli – come si usava dire – che dovrebbero convivere con la contemporanea affermazione che il filatelista è libero di collezionare ciò che vuole e come vuole (purché – s’intende –rispetti i canoni prefissati da FIP e commercio).

È solamente così, ampliando la visuale del collezionabile all’intera comunicazione e lasciando davvero libero il collezionista di trovare il suo spazio nell’immenso mondo della posta e dintorni – e non nel solo campo del francobollo – che un giovane d’oggi potrebbe appassionarsi a un qualche aspetto della filatelia che gli risulti congeniale e che lo possa gratificare. Occorre soltanto dargli una mano a scoprire quanti possono essere questi aspetti, e quanto intriganti e coinvolgenti possano essere. Cominciando magari col fargli conoscere quanto alcuni “temerari” hanno già fatto, ad esempio esaminando l’aspetto formale e grafico della lettera in sé, ancora da scrivere e affrancare, con i sorprendenti risultati che tutti possono ritrovare nei volumi firmati da Gianna Mazza, Enrico Bertazzoli e Beppe Ermentini.

Storie di Posta lo fa trattando qui di seguito i più diversi argomenti relativi alla comunicazione: non solo scrivendo di francobolli classici (le prime quattro emissioni di Sardegna e il Governo provvisorio di Parma) e moderni (gli alti valori San Giorgio) ma anche di calendari augurali dei portalettere, di un servizio di posta tanto noto da essere quasi sconosciuto (la ricevuta di ritorno), degli inizi ottocenteschi degli studi di storia postale in Italia, e persino della soddisfazione che può offrire oggi  la scoperta di una rarità filatelica.