Il filatelista, uno e più che trino

Storie di Posta n. 20 - nuova serie

    Amatoriale, questo è il termine più appropriato per definire la filatelia e tutto ciò che gravita intorno alla filatelia. Un mondo costruito sulle buone intenzioni e lastricato di individualità e di improvvisazione. Un mondo dove spesso si utilizzano la tradizione e il senso comune invece della conoscenza e del buon senso. Basta osservare il settore dell’editoria filatelica per rendersene conto: tutti propugnano la pubblicazione di riviste, libri e siti informatici culturali ma poi sono in pochi i collezionisti e gli addetti che ne usufruiscono (persino ricevendoli in omaggio), come indicano i dati di vendita e i riscontri sull’effettiva lettura; e ci sono operatori che non fanno pubblicità perché costa, o la fanno solo dove si paga poco, senza rapportarne il costo alla diffusione (e quindi alla possibile audience) e alla durata del messaggio nel tempo.

Amatoriale è persino l’approccio ai problemi che la crisi economica e sociale di questi anni ha portato alla luce negli ultimi tempi. Il mondo filatelico protesta unito, ma poi si divide – ciascuno per proprio conto – quando si tratta di trovare soluzioni per superare tali problemi. Avanzando comunque critiche e proposte che non si fondano mai su dati oggettivi e ponderati, così che è impossibile valutarne la validità e, nel caso trovino applicazione, la resa e l’introduzione di possibili miglioramenti.

Il marketing come tecnica consolidata esiste da oltre mezzo secolo, e tra le sue prime regole vi è quella di stabilire in partenza quale sia o debba essere il target, cioè i destinatari della comunicazione o dell’iniziativa, in modo da definirle nel modo più preciso e confacente. E nel mondo filatelico si parla di questo protagonista-destinatario – cioè il collezionista – senza averne la minima idea pratica in fatto di età, classe socio-economica, gusti, livello culturale e via analizzando.

Infatti il filatelista-tipo non esiste neppure a livello di gusti collezionistici, come mostrano le tre diverse categorie di raccolte praticabili: filatelia (cosiddetta tradizionale), tematica e storia postale. Perchè ad esempio l’eccesso di nuove emissioni, di cui il programma appena sfornato dal MiSE per il primo semestre 2020 è un’evidente dimostrazione, é cosa che colpisce i filatelisti, tocca molto meno i tematici (che anzi possono giubilare se è presente l’argomento magari insolito a cui si dedicano) e non interessa minimamente gli appassionati di storia postale.

La generica definizione di filatelista non tiene neppure mai conto del livello di interesse o approfondimento del collezionista in questione. Se infatti si frequenta il mercato, compresi gli sportelli filatelici e i circoli collezionistici, si scopre che una gran parte dei frequentatori si potrebbe definire “all’acqua di rose”: raccoglie quel che trova, compra quel che gli piace o va di moda in quel momento, non ha e nemmeno tenta di organizzare una collezione; semplicemente è attratto dai francobolli (o dalle monete, dalle cartoline d’epoca o quant’altro non ingombri troppo) e in non pochi casi li usa, o almeno li usava vari anni fa in epoca pretelefonìnica, come occasione per ritrovarsi con altri e fare quattro chiacchere.

E anche fra quelli meno approssimativi l’impegno collezionistico può essere molto diverso, da discreto a totale e persino ossessivo, e anche variabile in ampiezza, con due o più collezioni ugualmente partecipate. Quindi senza alcuna uniformità.

Altro elemento da considerare è l’impegno, o la possibilità d’impegno economico: c’è chi può e chi semplicemente vorrebbe dedicare più tempo e denaro per arricchire le sue collezioni, con tutte le variabili possibili tra i due estremi o nei limiti che uno pone alla sua passione, per carattere o per questioni di portafoglio.

Per ultimo viene anche l’età, soprattutto in funzione dell’interesse socio-culturale che possono oggi sollevare il francobollo, la posta o lo stesso collezionismo filatelico. Perché sono ormai lontani e superati i tempi in cui le carte-valori postali erano oggetti di uso comune, e quindi non solo note a tutti ma anche visibili e persino ottenibili usate senza grandi problemi. Ed è ormai finita quella civiltà dell’immagine che rendeva importanti anche piccole opere come il francobollo, a causa dei problemi di riproduzione (ancora negli anni Cinquanta si vedevano riviste molto popolari con copertine stampate in tricromia – verde, rosso e nero – non essendo ancora attrezzate per la quadricromia o per ragioni di costo); oggi non solo la spettacolarità anche grafica è imperante, ma sono miriadi i nuovi oggetti di uso comune o appositamente creati per essere collezionati  se non addirittura realizzabili per passione direttamente da chiunque (ad esempio foto d’arte o immagini informatiche) che si offrono come alternativa collezionistica al francobollo. Persino i testimonial proposti un tempo come modello – dai regnanti britannici a Franklin Delano Roosevelt –  oggi risultano di scarsa presa sul pubblico, specie quello dei millenial.

In pratica il filatelista di cui parla normalmente il mondo filatelico non esiste. Nemmeno a volerlo considerare uno e trino, quanti sono i tipi di collezione esistenti e senza considerare la loro gamma oggi praticamente infinita. Quelli che esistono sono tanti filatelisti diversi – quanti esattemente non è dato sapere in mancanza di indagini – eventualmente raggruppabili a seconda delle necessità del marketing quando si devono affrontare problemi di comunicazione, di pianificazione o di mercato.

Perché tutto sta nei diversi punti di vista, sia a livello commerciale che associativo. Se sono un operatore la cui necessità è vendere materiale pregiato o magari rarità, devo non solo diffondere una mia immagine di alto livello, autorevole e affidabile, ma devo farla arrivare a un target di filatelisti con buone possibilità economiche. È quindi del tutto inutile essere presenti su pubblicazioni o siti web che trattano più che altro novità, collezioni di vario interesse, specie se di moda, o temi caldi del momento. Molto più proficuo pensare a riviste e libri con elevata immagine di specializzazione oppure a iniziative dirette ai membri di club prestigiosi o che comunque facciano leva su una gratificante autoaffermazione del proprio livello socio-culturale.

Dovendo invece operare in un mercato “normale”, con materiale di piccolo e medio importo e una clientela senza grandi disponibilità, magari in buona parte “all’aqua di rose”, la mia strategia deve mirare al sodo: mai parlare di investimento o di buoni affari, che tanto ormai non ci crede nessuno, tanto più se le disponibilità sono scarse, ma puntare sulla cultura, su ciò che rappresentavano i francobolli per i nostri predecessori, sulla soddisfazione di creare con le vecchie carte-valori un qualcosa di originale, personale, interessante anche per le generazioni future, alla lunga ben più gratificante che primeggiare a un videogioco o in qualche altra moderna trovata.

Se invece sono interessato al mercato delle novità, devo pensare di trattare con il collezionista “all’acqua di rose”, che proprio per le sue caratteristiche di scarso entusiasmo,  limitate disponibilità e minimo approfondimento. va incuriosito, allettato, attratto da qualcosa di nuovo, attuale, alla moda. Senza stare a sentire pareri e obiezioni imperniate sul francobollo che deve servire essenzialmente per affrancare corrispondenze e al massimo essere utilizzato per commemorazioni e celebrazioni di stampo tradizionale, tipo uomini più o meno illustri, enti dello Stato, passati eventi e scoperte, fiere ed eccellenze locali varie; tanto quelli che le fanno sono di norma i primi a non comprare le nuove emissioni, e anche se lo fanno è solo per tenere aggiornata la loro prima collezione. E comunque non gli va mai bene niente perché il loro riferimento sono i francobolli che sognavano in gioventù, poco importa che oggi sarebbero in gran parte oggettivamente impresentabili. Anche la posta è cambiata con il nuovo millennio in seguito alla globalizzazione, alle nuove tecnologia e a mutate condizioni socio-politiche e culturali e – a voler essere dei seri studiosi di storia postale – occorre prenderne atto. Per cui la fdc, il folder e la cartolina maximum non sono più deformazioni filateliche ma realtà postali che giustificano l’emissione di nuovi francobolli, e che al massimo si possono migliorare nella forma o nella veste.

L’importante è operare bene in funzione del proprio target, dopo averlo studiato e compreso con intelligenza e professionalità: in pratica l’esatto contrario di quel che vanno facendo i burocrati del MiSE con una marea di nuove emissioni criticabili prima ancora che per il numero o per i 40enari e i 130enari, per il fatto che non presentano il minimo interesse né alcuna attrattiva per i collezionisti che li dovrebbero comprare.

Noi di Storie di Posta il nostro target e il modo per raggiungerlo ce lo siamo prefissato fin dall’inizio: e i temi, il livello, la scioltezza e la presentazione degli articoli monografici che pubblichiamo ne sono l’evidenza, certificata persino dal mondo filatelico più tradizionale con la qualificazione “best in class” a Verona, lo scorso anno.

                                                 Franco Filanci