L'INEDITA VERA STORIA DEL FRANCOBOLLO di Franco Filanci (SdP 27 NS)

    La caratteristica e insieme il limite della filatelia è di occuparsi del francobollo fuori del suo contesto. Questa è la constatazione a cui sono giunto all’improvviso, dopo una vita di felice collezionismo tra francobolli, interi postali, segnatasse, oggetti e moduli postali, e via raccogliendo. Un evento sconvolgente, stante il contemporaneo sgonfiarsi di un mito: il monumentale, spettacolare (specie per l’epoca) e celebrato I francobolli dello Stato Italiano edito dall’Istituto Poligrafico dello Stato nel 1959.

Mi ha fatto effetto scoprire – o meglio rendermi conto per la prima volta – che in questo tanto celebrato volumone si descrivono e riproducono tutti i francobolli (tranne i primi) citando dati, decreti, vignette, caratteristiche tecniche ma senza mai parlare degli aspetti postali dell’emissione, perché si sia fatta e come e dove. Insomma, i francobolli dello Stato Italiano sono trattati alla stregua di figurine, anche se figurine di Stato.

Subito dopo, pensandoci bene,  la constatazione si è ampliata a tutto il mondo filatelico italiano: se si escludono alcune pubblicazioni serie come le opere dei Diena o il catalogo cosiddetto della Vittoria (una minoranza per un’epoca in cui l’editoria filatelica comportava quasi esclusivamente riviste) si è sempre analizzato e descritto e valutato il francobollo sotto l’aspetto tecnico-grafico – il bozzetto e l’incisione, il tipo di stampa, la carta e la filigrana, il colore, la dentellatura – o la sua quantità, posizione, composizione o bollatura nelle affrancature. Dando per scontati o inutili i motivi della sua emissione, sia postali che economici o politici, la sua distribuzione e il suo vissuto quotidiano, gli eventuali incidenti di percorso dovuti ai più diversi fattori.

In effetti si è sempre trattato il francobollo come un fenomeno – postale, sociale, collezionistico, commerciale – ma senza mai studiarlo realmente nella sua essenzialità. Cioè partendo dal fatto che è nato come strumento di posta. Forse per non dover giungere alla constatazione che è la filatelia ad essere parte della storia postale, e non viceversa, come sono in molti a credere.

Vogliamo cominciare a considerare sul serio la storia postale del francobollo? Se sì, dobbiamo partire da chi l’ha generato, cioè la lettera. Non sir Rowland Hill o James Chalmers o magari l’ideatore dei Cavallini, ma la comunicazione scritta. E anche in questo caso non dobbiamo fermarci in superficie, ritenendo che la lettera esista praticamente da sempre e che tutti sappiano cosa sia.

 Fino a metà Ottocento la lettera era un modo per comunicare con un’altra persona, spesso l’unico se i due interessati si trovavano a una discreta distanza e non volevano ricorrere alla memoria di un terzo individuo. E la lettera era considerata un oggetto molto personale e riservato, tanto che veniva sigillata e all’esterno recava solo l’indirizzo del destinatario e qualche eventuale specifica o indicazione di urgenza o pagamento del corriere: nome e indirizzo del mittente cominciano a vedersi solo con l’Ottocento, solitamente su carte d’affari, impressi a timbro o con un obbiadino che ne dimostra l’importanza. E il servizio postale, ancora ristretto all’essenziale, prevedeva il contatto con l’utente solo in posta; il recapito a domicilio era riservato alle città importanti, e neppure sempre.

Unica comodità prevista per il mittente è la buca per le lettere, di norma disponibile solo presso l’ufficio di posta (magari una semplice fessura nel muro o nella porta dell’ufficio), in cui è possibile inserire la corrispondenza anche di notte o fuori orario, oppure per ragioni di riservatezza, semplicemente per non farsi vedere. Ovviamente solo lettere con tassa a carico, come volevano le buone maniere del tempo: se si doveva affrancarle occorreva recarsi all’ufficio di posta.

Poi nel 1840 arriva il francobollo, e le cose cambiano. O meglio è l’inverso: le cose cambiano (nel senso che il progresso economico e sociale rende la lettera sempre più necessaria e diffusa) e di conseguenza arriva il francobollo, per semplificarne la spedizione. Infatti il francobollo (o meglio dovremmo dire la carta-valore postale, vista la contemporanea comparsa di buste e biglietti preaffrancati) rappresenta una sostanziale svolta nelle comunicazioni: favorisce il pagamento anticipato delle corrispondenze, evitando di recarsi in posta se si vuole affrancare, e consente di gettare in buca, magari senza farsi vedere, anche una lettera già affrancata, cosa prima impossibile.

Arriva il francobollo, e bastano pochi decenni per farlo affermare in tutto il mondo, persino in paesi molto attenti al suo costo; non dobbiamo scordare che carta, stampa e distribuzione hanno un prezzo, per quanto minimo. Paesi di cui è un esempio il Regno di Sardegna, tra i primi a emettere francobolli, che però nei primi sette anni ne prevede l’uso solo per le lettere che si vogliono gettare in buca già affrancate; per le altre si può benissimo continuare come prima, con la tassa a carico del destinatario o con il buon vecchio PP e l’importo della cifra riscossa manoscritto al retro (cosa che – sia detto per inciso – gli specialisti italiani non dicono mai, chissà perché!).

Poi ci si rende conto che conoscere nome e indirizzo del mittente è importante nel caso di respingimenti, mancata consegna e altri accidenti; tra l’altro si può evitare la prevista trafila per l’apertura della lettera, nella speranza di trovarvi i dati per risalire al mittente. Ma in Italia non si fa nulla, a differenza della Francia dove dal 1902 le cartoline e i biglietti postali presentano nell’angolo superiore sinistro lo spazio per il nome e l’indirizzo del mittente, seppur specificando che è facoltativo.

E dire che la fine dell’Ottocento ha fatto esplodere anche in posta il progresso: la lettera si è differenziata in centinaia di oggetti postali, conseguenti a decine di agevolazioni e nuovi servizi, e il francobollo l’ha seguita a ruota, creando valori speciali per alcuni servizi, ma si è anche scoperto portatore di comunicazioni celebrative o commemorative, di oboli per opere benefiche, e soprattutto di possibili introiti extra offerti dai collezionisti.

Poi arriva il Novecento con le sue guerre mondiali, che con i loro spostamenti di confini e di contingenti mettono a dura prova il sistema postale, e la sua ansia di sempre più avanzate novità tecniche, sociali e politiche che finiscono per coinvolgere anche il nostro quadratino dentellato. Il francobollo resta ma si sdoppia in una pratica versione fai-da-te sfruttando   delle speciali macchine affrancatrici che comportano per le poste un risparmio di carte-valori e di lavoro (niente bollatura) e per l’utente l’affrancatura in un sol colpo e pubblicità gratuita. Ma è un nuovo francobollo che non piace ai collezionisti: lo giudicano un pericolo per il “loro” francobollo, e preferiscono ignorarlo, anche perché è difficile farlo rientrare in catalogazioni filateliche tradizionali.

Nell’ultimo quarto del Novecento ha inizio la rivoluzione telematica, che rinnova, stravolgendolo, l’intero mondo della comunicazione. Se il telefono non ha mai scalfito il mondo della posta, neppure con il completamento della rete teleselettiva italiana, nel 1970, il telefonino finirà per stravolgerlo, cambiando le abitudini e lo stesso modo di essere della gente: grazie a lui si può comunicare con chiunque in qualsiasi luogo e momento. Tanto che sparisce persino la tanto declamata privacy: con il cellulare o lo smartphone tutto è permesso, si può parlare delle cose più personali e riservate anche camminando in mezzo alla gente. E con il personal computer si possono spedire istantaneamente in qualunque parte del mondo lettere (ribattezzate e-mail), foto e filmati, dati anche personali e persino fake news. E la buona, vecchia, millenaria lettera praticamente scompare.

Il francobollo invece tiene, anche se ridotto ai minimi termini dallo svanire della lettera: o meglio, viene rimpiazzato da un suo clone, più brutto ma molto più pratico. La tp-label è infatti un francobollo istantaneo, prodotto dall’impiegato postale sul momento e comprensivo di adesivo nonché di tutti i dati su località, ufficio, data, eventuali servizi accessori, numeri identificativi e via postando. Si può immaginare che gli operatori non lo preferiscano, e di gran lunga, al suo fratello dentellato o fustellato che richiede bollature, contabilizzazioni etc.?

I filatelisti detestano la tp-label, ed è comprensibile: la confrontano con il francobollo che, per non sparire, si è fatto sempre più pittoresco, frequente, accessoriato, creativo. Quel che risulta inaccettabile è che la ignorino i vip del collezionismo filatelico e soprattutto quelli che si descrivono come storici postali. Perché questa è storia, postale oltre che generale. Una storia fatta di corrispondenze con messaggi d’ogni tipo, francobolli e carte-valori d’ogni tipo, bollature d’ogni tipo, che si presta ad appassionanti ricerche, collezioni e studi d’ogni tipo. Ma è una storia che dev’essere postale, non solo filatelica, e che non può limitarsi a 30 anni dell’Ottocento o al massimo ai suoi primi 100 anni solo perché allora fioccavano le varianti di incisione, stampa, carta, colore, bollatura, ed è facile e lucroso parlare di rarità, pezzi unici e relative valutazioni.

Senza pensare che in un prossimo futuro sarà ben più arduo e costoso reperire pezzi che documentino i grandi cambiamenti postali avvenuti a cavallo dell’Anno Domini 2000.